In queste lunghe e noiose giornate invernali, viene voglia di scappare dalla routine quotidiana e appagare i sensi gustandosi un pranzo degno di nota. Complice un’occasione da festeggiare ci siamo addentrati nella provincia vicentina per recarci al Ristorante “La Peca” che, anche per il 2011, si è visto confermare le due (meritatissime) stelle Michelin.
Peca significa impronta e mai nome fu più azzeccato per questo locale che lascia un segno tangibile nella memoria di ogni appassionato gourmet.
Appena entrati, veniamo accolti da un gentilissimo cameriere che ci accompagna al piano superiore. Ci accomodiamo ad un bel tavolo d’angolo. Dalle ampie vetrate del locale ammiriamo lo spettacolo degli alberi ricoperti di galaverna che conferiscono al paesaggio un’aria lunare.
I tavoli sono ben distanziati e l’atmosfera è elegante senza risultare eccessivamente formale.
Per iniziare nel migliore dei modi ordiniamo l’aperitivo: un Franciacorta Riserva 61 di Berlucchi.
Ci vengono portati i menù e la carta, o meglio, il libro dei vini. Un’autentica “Bibbia” dove il sommelier che c’è in voi si sentirà in Paradiso. Con l’indispensabile aiuto del maitre giungiamo all’ardua scelta: Riesling del 2009 della Tenuta La Bertolà di cui parlerò in separata sede perché merita ben più di due parole.
Come antipasto ordiniamo carpaccio d’orata con gnocchi di riso all’acciuga di Cetara, olio di agrumi e capperi essiccati per me e le tre tartare: occhiata, scampo e ricciola in cialda croccante emulsione di cachi al limone e zenzero per mio marito.
Nell’attesa ci viene portato il cestino con differenti e golose varietà di pane accompagnate da una delicatissima mousse di caprino: resistere alla tentazione è pressoché impossibile.
Fortunatamente arriva il primo benvenuto della casa: crema di zucca, yogurt e ceci tostati. Si gioca subito di contrasti, dolce vs. acido e vellutato vs. croccante. Un inizio promettente che viene mantenuto dalla seconda entrée: crema di broccolo fiolaro con cuore di radicchio e aria di prezzemolo: un gustoso e spumeggiante cappuccino di verdure! Se non sapete come fare mangiare i vegetali ai vostri figli, ecco a voi la soluzione!
Arrivano gli antipasti e cala il silenzio tra noi. Non si può parlare e sospirare di piacere nello stesso istante. Il carpaccio d’orata è un velo sottilissimo che avvolge dei morbidi gnocchetti di riso che rimandano al gusto dell’infanzia. Il palato assapora la delicatezza ma subito viene sferzato dalla nota croccante e sapida dei capperi essiccati: una vera delizia.
Le tre tartare sono uno spettacolo per gli occhi e un vero viaggio sensoriale per la bocca. La freschezza e la qualità della materia prima viene resa superlativa da una vellutata salsa di cachi e da impalpabili cialdine che si sciolgono in bocca.
Di solito non ci lasciamo tentare dai primi, ma sul menù siamo stati attratti entrambi da uno dei piatti storici della Peca: i bigoli integrali con acciughe, alici marinate e gelato di cipolle rosse. Ne ordiniamo una porzione chiedendo di poterla dividere in due. Ed ecco che davanti a noi si materializza un piatto che difficilmente dimenticheremo: la pasta con le acciughe e le alici ha una grinta che toglie il fiato ma il tocco finale lo conferisce il gelato alla cipolla rossa e ti viene voglia di centellinare ogni singolo filo di pasta per far durare il più a lungo possibile quell’esplosione di sapore.
Ormai ci siamo arresi all’evidenza: non usciremo indenni da questo pranzo, siamo letteralmente nelle mani dello chef che ci ha condotti nel suo labirinto senza neppure lasciarci il mitico filo.
Davanti ai secondi piatti avvertiamo quasi un timore riverenziale e mio marito affonda titubante il cucchiaio nella zuppa di pesce. Non parla, emette solo mugolii incomprensibili. Decido perciò di prendere il toro per le corna e dopo il primo assaggio capisco perfettamente il perché del suo silenzio: la semplicità e la raffinatezza dei sapori non lasciano spazio a nessuna domanda.
Dal momento in cui ho letto le parole “granchio reale” sul menù, per me non è stato possibile scegliere altro. Il granchio è una delle cose che amo di più in assoluto e, quando lo trovo, non so resistergli. Questo piatto in particolare per me è stata la chiave di volta di tutto il pranzo.
Le diverse consistenze, il contrasto tra il sapore quasi caramellato del granchio e l’acidità dell’avocado, la freschezza della preparazione in insalata abbinata alla delicata cremosità della salsa, regalano un’emozione indescrivibile che, a distanza di giorni, riesco ancora a riassaporare solo chiudendo gli occhi.
Nell’attesa arrivano le dolci coccole racchiuse in una scatola di pasticceria che, una volta aperta, mostra la sorpresa di un cubo di plexiglass trasparente contenente tre chicche di yogurt, frutti di bosco e cioccolato bianco e altre dolci squisitezze.
Arriva il mio sorbetto ed è talmente invitante che mi dimentico persino di fotografarlo. L’apparenza è pari solo alla sua bontà.
Concludo con un caffè e ci lasciamo andare a chiacchiere rilassate con la moglie di Pierluigi Portinari, perfetta padrona di casa che ti fa sentire quasi in famiglia.
Non vorremmo più alzarci (anche perché le sedie sono di una comodità inaudita, dovrebbero essere vietate per legge) ma la nebbia che inizia a scendere ci spinge a prendere, controvoglia, la via del ritorno.
Arrivederci a prestissimo e grazie per aver lasciato una peca nel nostro cuore.
Prezzo totale: 248 euro, gentilmente scontato a 240
Rapporto Qualità/Prezzo: più che buono
Voto: 9½ (io farei anche dal 9 al 10, come si usava una volta a scuola)
Note e considerazioni personali: Ci sono tanti ristoranti che ti conquistano con la bravura dei loro chef, ma qui ho trovato qualcosa di più: il calore, una squisita gentilezza e la sensazione di non essere solo un cliente e, a mio parere, questo fa la differenza.