Diciamocelo, passata la trentina, se si vuole mantenere una certa presenza si deve fare un po' attenzione. A vent'anni mangi quello che vuoi e bastano due giorni di alimentazione normale per rientrare nei ranghi senza danni; più ti avvicini ai quaranta e più ti accorgi che a giugno non sei ancora riuscita a smaltire gli eccessi del cenone di Natale, nonostante i riti voodoo contro ogni forma di carboidrato e i due ettolitri di sudore che lasci sul tapis roulant tre volte a settimana.
Ti guardi allo specchio sconsolata pizzicando tutto il pizzicabile e trattenendo il fiato fino a quando l'ombelico non ti viene risucchiato dall'interno. Ci siamo passate tutte, o meglio, quasi tutte, se togliamo quelle rarissime donne, portatrici sane del fattore C, che possono mangiare ciò che vogliono e come unica ginnastica quotidiana si mettono il rossetto.
Quindi ci si trova davanti al fatidico bivio: una vita di semini e poltiglie macrobiotiche condite da lunghissime ore di meditazione trascendentale (probabilmente per non sentire i crampi della fame) o un estenuante circo di lezioni di pilates, kick boxing, power yoga, capoeira e dulcis in fundo una bella frullata sulla pedana vibrante?
Per me la decisione è stata abbastanza semplice: amo troppo il buon cibo e il buon vino per rinunciarvi e faccio sport quel tanto che basta per sentirmi bene.
Non proverò mai il "brivido" di entrare in una taglia 40? Pazienza, io e la mia rispettabile 42 ce ne faremo una ragione davanti ad un piatto di spaghetti ai lupini accompagnato da un bicchiere di pas dosè.
Nel frattempo mi godo tutto il godibile:"Godi, fanciullo mio; stato soave, stagion lieta è cotesta", diceva il lungimirante Giacomo e lui la sapeva lunga in fatto di rimpianti!
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